ISM-Italia

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ISM-Italia è il gruppo di supporto italiano dell‘International Solidarity Movement (ISM) palestinese.

Intervento di Kevin Ovenden Milano 10 luglio 2010

Le prospettive del movimento di solidarietà con la resistenza palestinese dopo l’attacco israeliano contro la Freedom Flotilla di Kevin Ovenden Viva Palestina UK

Io credo che siamo a un punto di svolta del movimento internazionale di solidarietà a sostegno della Palestina. E’ una svolta che è avvenuta ad un prezzo molto alto. Nove dei nostri fratelli sono stati uccisi sulla Mavi Marmara e molti sono stati feriti. E noi li ricordiamo, come ricordiamo le oltre 1.400 vittime palestinesi dell’operazione Piombo Fuso e quelle di altre operazioni israeliane.

Io ricordo la persona che era vicina a me, di 50 anni, un metro davanti a me e che è stata colpita alle gambe.

Io ricordo una persona leggermente più giovane di me che è stata colpita allo stomaco.

Io ricordo il fotografo di 38 anni, Cevdet Kiliçlar, che aveva in mano la sua macchina fotografica e stava cercando di fare delle foto ed è stato colpito in piena fronte e il proiettile gli ha sfondato il cervello. È stato tra le braccia di una amica di Viva Palestina, Nicci, durante gli ultimi secondi della sua vita.

In tutti e tre i casi non c’erano commandos israeliani nei pressi, ma i colpi sono arrivati da lontano. Dico questo perché è una completa bugia sostenere che i soldati israeliani hanno reagito agli attacchi da parte di quelli che erano sulla nave e che loro hanno ucciso.

E potrei darvi ulteriori testimonianze, ulteriori prove, e queste prove sono state raccolte da avvocati internazionali Naturalmente queste testimonianze non sono state prese in considerazione dalla falsa commissione di inchiesta israeliana. C’è solo una cosa che dovete sapere su questa commissione. Gli israeliani per dimostrare di essere indipendenti hanno invitato a farne parte David Trimble (Premio Nobel per la Pace nel 1998, ndt). David Trimble tre mesi fa ha fatto un iniziativa a favore di Israele ed è anche un uomo politico dell’Irlanda del Nord che ha avuto un ruolo per 38 anni nel coprire le responsabilità dell’esercito inglese nella morte di 14 civili a Londonderry.

Noi vogliamo una commissione di inchiesta internazionale indipendente, anche se non abbiamo bisogno di una commissione per sapere la verità.

Milioni di persone hanno visto quello che è accaduto. Da una parte nove morti e molti feriti, dall’altra parte tre o quattro soldati leggermente maltrattati. È chiaro, a milioni di persone, a decine di milioni di persone, che quello che si è verificato è un massacro. Questa è la ragione per cui all’inizio Israele si è messa sulla difensiva, ma subito dopo ha cercato di riprendere l’iniziativa per tornare in prima linea all’attacco. Ora c’è un tentativo concordato di isolare il governo turco, la popolazione turca e le associazioni umanitarie turche.

Come movimento internazionale non possiamo permettere l’isolamento dei nostri fratelli e delle nostre sorelle turche. Dobbiamo rispondere agli argomenti della propaganda. Per cominciare dobbiamo rifiutare qualsiasi tentativo di sostenere che le associazioni umanitarie turche, e in particolare la IHH, sono collegate ad Al-Qaeda. Questo coinvolgimento di massa è l’opposto di quanto fa Al-Qaeda.

Noi dobbiamo respingere l’idea che la responsabilità degli uccisioni e di quanto è accaduto sia dovuto agli attivisti che erano a bordo della Mavi Marmara. Il più giovane a bordo aveva un anno ed era il figlio dell’ingegnere capo della nave, il più anziano 88 anni, a bordo c’era anche l’arcivescovo Capucci in esilio. Tra le persone uccise un padre di sei figli di 61 anni che si era candidato a sindaco della sua città. In queste circostanze tutti i civili attaccati hanno il diritto di difendersi a mani nude e con i mezzi a loro disposizione. Credo che molte persone nel mondo lo hanno capito e noi dobbiamo fare in modo che molte altre lo capiscano.

Di fatto si è trattato di una sconfitta per Israele e bisogna enfatizzarlo. Ma questo evento non è un evento solitario, ma è collegato ad altri eventi. Ne accennerò a tre.

Il primo è che la immagine politica di Israele è precipitata nel corso degli anni ed è al livello più basso dal momento in cui è stato costituito nel 1948 lo Stato di Israele.

Bisogna ricordare l’immagine di Israele negli anni ’60 e ’70 come un paradiso, una socialdemocrazia liberale circondata da un mondo arabo medioevale, una Svezia nel Mediterraneo. Ora questa immagina si è dissolta e l’immagine di Israele si identifica con quella di Netanyahu, di Avigdor Lieberman e di altri personaggi di questa risma e questo processo si è accelerato negli ultimi quattro anni.

Nel 2006 l’attacco israeliano contro il Libano si è risolto in una sconfitta sia politica sia militare e, anche 18 mesi fa, l’attacco Piombo Fuso contro Gaza si è risolto in una sconfitta politica senza raggiungere gli obiettivi militari.

All’inizio di questo anno gli israeliani hanno assassinato a Dubai Mahmud al-Mabhouh, un dirigente di Hamas. Per farlo hanno rubato passaporti inglesi irlandesi, australiani e di altri paesi. Molte persone in Inghilterra che non si preoccupano dei problemi del Medioriente, sono preoccupati perché volendo andare per turismo a Dubai e avendo un passaporto britannico possono essere scambiati per agenti del Mossad.

Il primo fattore è il declino dell’immagine e dello status di Israele.

Il secondo è l’aumento progressivo del movimento di solidarietà con i palestinesi negli ultimi anni. I convogli via terra, ad esempio quelli organizzati da Viva Palestina, sono cresciuti in partecipazione e in dimensione. La missione del Free Gaza Movement iniziata con una piccola nave, con la Freedom Flotilla è arrivata a sei navi grandi. C’è ora, a mio parere, una seria possibilità che la campagna BDS, Boycott Divestment and Sanctions, acquisti una ulteriore efficacia e capillarità. Sono stato tre settimane fa negli USA per alcuni incontri. Una nave israeliana a Ockland negli USA non è stata scaricata dai portuali per 24 ore, cosa che costituisce comunque un primo passo estremamente significativo.

C’è la potenzialità per ulteriori passi in avanti e il tutto è legato alla crescita della resistenza palestinese.

ll secondo fattore è la crescita di questo movimento che era già in corso prima della Freedom Flotilla.

Il terzo fattore importante, a mio parere, è il cambiamento delle relazioni tra i paesi del Medioriente e tra Israele e gli Stati Uniti. Lo dirò in modo molto semplice per motivi di tempo e mi scuso per le semplificazioni. Nel 2003 gli USA hanno distrutto l’Iraq di Saddam Hussein e non c’è bisogno di essere Herry Kissinger o Zebrinsky per capire che l’attacco contro l’Iraq avrebbe portato alla crescita dell’Iran. E così era facilmente prevedibile che altri paesi avrebbero riempito il vuoto lasciato dalla distruzione dell’Iraq e questo è quello che sta capitando con la Turchia.

Il governo turco, e molta parte dell’establishment turco, sta cercando di rinegoziare i rapporti. Non voglio dire che c’è un cambiamento di fondo, ma c’è una tendenza legata anche agli interessi economici della Turchia nei Balcani, nel Medio Oriente e nell’Asia centrale. Questo sta portando ai rapporti difficili tra Turchia e Israele che sono stati invece degli alleati storici. Non siamo davanti a un processo lineare, che è invece piuttosto oscillante, ma il processo continuerà dati i fatti che sono alle sue spalle. E questo sta provocando delle rotture negli equilibri politici nel Medio Oriente. Non sto dicendo che quello che fa la Turchia sarà determinante per il movimento, ma certamente avrà la sua importanza continuando a creare momenti di rottura.

Ci sono tensioni anche tra Israele e gli USA; sia chiaro ci sono dei fattori molto potenti affinché l’alleanza continui a essere stretta, ma ci sono tensioni in questa alleanza. Ad esempio, David Petraus, il generale USA che è stato recentemente nominato capo delle operazioni in Afghanistan ha detto a Washington che Israele da un asset strategico per gli USA si sta trasformando in una difficoltà strategica. Il capo del Mossad e l’ambasciatore israeliano a Washington hanno tutti e due detto che temono che gli USA comincino a vedere Israele come una difficoltà. Nulla sembra cambiare. Ma quello che preoccupa i politici di Tel Aviv è il solo fatto che si parli di queste tensioni e di queste difficoltà. Nel futuro queste cose potranno costituire difficoltà, tensioni e incertezze diplomatiche.

Per queste tre ragioni io credo che questo processo che abbiamo visto con la flottiglia potrà continuare se il movimento avrà la capacità di rispondere.

Deve essere chiaro che l’attacco contro la Mavi Marmara è stato progettato per intimidire e terrorizzare gli attivisti internazionali e noi non possiamo permettere a noi stessi di essere terrorizzati da questi attacchi israeliani. E io vi porto le parole delle famiglie delle persone uccise sulla nave. Le abbiamo incontrate a Istanbul nei giorni successivi al massacro. Tutti i familiari hanno detto che il movimento deve continuare e che loro sono pronti a dare il loro contributo perché questo avvenga.

Quindi il movimento per liberare Gaza deve continuare per mare e per terra.

Naturalmente c’è un problema di coordinamento tra tutte le iniziative e sarà una parte del lavoro da fare nelle prossime settimane e nei prossimi mesi.

Il 18 settembre partirà un convoglio via terra da tre punti, da Londra attraverso l’Europa fino a Aqaba, da Casablanca attraverso i paesi arabi del Mediterraneo e da Doha (Qatar).

L’altra parte del progetto è quella di una grande flottiglia che si raccoglie nel Mediterraneo e che si avvicina nello stesso momento dell’arrivo dei convogli via terra alla Striscia di Gaza.

La pressione sarà nei riguardi di Israele e anche del governo egiziano, perché tutte queste cose si possano realizzare.

E a causa dell’attacco alla Mavi Marmara già sappiamo che avremo una copertura mediatica maggiore perché anche tutti i canali commerciali vorranno essere presenti.

Noi pensiamo di arrivare con 500 veicoli via terra e con un numero molto più alto di sei navi. Attivisti arriveranno da ogni parte del mondo.

Vorrei fare due considerazioni conclusive.

La prima questione è perché ci concentriamo su Gaza. Gaza non è tutta la Palestina. Non dobbiamo dimenticare, è fondamentale, che la Palestina è tutta la terra dei palestinesi prima del 1948. Ma c’è un focus strategico su Gaza perché sono i nostri nemici che hanno fatto di Gaza il punto di maggiore focalizzazione.

Gaza è il simbolo, la roccaforte della resistenza palestinese e, se Gaza viene sconfitta, è chiaro che tutto il movimento palestinese sarebbe sconfitto.

Strangolare Gaza significa per gli israeliani riuscire ad ottenere di sconfiggere i palestinesi anche in Cisgiordania.

L’altra considerazione è che un successo, un risultato positivo dei convogli e della flottiglia possono portare a una crescita del movimento BDS. C’è un chiaro collegamento. Le due cose non sono separate ma due parti di una stessa strategia. I convogli e le flottiglie possono aiutare a creare una situazione per una maggiore presa di coscienza di massa sul fatto che l’apartheid in Israele è inaccettabile, come era inaccettabile l’apartheid in Sudafrica.

Ero all’università nel 1996. Poche persone si rendevano conto della completa connessione tra gli interessi britannici e la situazione in Sudafrica.

Ma tutti gli studenti sapevano due cose: non aprire un conto alla Barclays Bank

e non comprare la frutta sudafricana. Da pochi obiettivi si può passare a iniziative più importanti e più efficaci. Io credo che questo movimento ha enormi potenzialità, ci sono differenze tra i vari paesi, ma dovunque c’è una crescita molto significativa.

Voglio terminare ricordando un incontro di quattro giorni fa nel nord dell’Inghilterra. Tra i presenti c’era un mussulmano che era stato un minatore, un uomo della classe lavoratrice inglese.

E lui mi ha detto che quando aveva iniziato a lavorare in miniera aveva due amici che avevano partecipato alle brigate internazionali in Spagna e quello che sta accadendo con i convogli e con le flottiglie ha molto di analogo a quella esperienza.

Dobbiamo ricordare che la nostra parte ha perso tragicamente in Spagna, una sconfitta che ha poi portato alla seconda guerra mondiale

Dobbiamo essere anche consci che la lotta per la Palestina non è solo una battaglia per la Palestina.

Se noi otterremo dei risultati in questa lotta, saranno importanti per molte altre situazioni.

Saranno risultati in difesa della dignità umana in ogni parte del mondo.

Trascrizione e traduzione a cura di Viva Palestina Italia. Torino, 22 luglio 2010

(per ragioni tecniche non siamo riusciti a registrare l’intervento e il dibattito nella riunione di Roma del 9 luglio; la trascrizione dell’intervento milanese sarà, appena possibile, completata con le risposte alle domande del pubblico.)

Il testo è in copyleft, può essere utilizzato ma solo senza modifiche del testo, mantenendo le citazioni dell’organizzazione promotrice, dell’autore e degli autori della trascrizione e della traduzione.

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