ISM-Italia

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ISM-Italia è il gruppo di supporto italiano dell‘International Solidarity Movement (ISM) palestinese.

Da leggere: Sposata a un altro uomo – Per uno Stato laico e democratico nella Palestina storica di Ghada Karmi

Sposata a un altro uomo

Per uno Stato laico e democratico nella Palestina storica

di Ghada Karmi

DeriveApprodi 2010, pag 315, prezzo 20 euro

sposata a un altro uomo flyer promozionale 8 pagine

sposata a un altro uomo flyer promozionale 4 pagine

Indice

Prefazione

Prefazione all’edizione italiana

Introduzione

1 Il costo di Israele per gli arabi

Allevare Israele ancora in fasce

Il danno recato da Israele ai palestinesi

I danni causati da Israele al mondo arabo

Forzare gli arabi alla normalizzazione con Israele

Provocare la crescita del fondamentalismo islamico

Che fare con Israele?

La reazione araba

Ancora nessuna soluzione per i palestinesi

2 Perché gli ebrei sostengono Israele?

Il significato di Israele per gli ebrei israeliani

La presa della narrazione sionista sugli ebrei

Da dove venivano gli ebrei europei?

In cerca di una connessione con la Palestina

Una nazione ebraica?

Un mito sionista persuasivo

Il sionismo e l’assimilazione ebraica

L’identificazione ebraica con Israele

La doppia lealtà

3 Perché l’Occidente sostiene Israele?

Gli Stati Uniti e Israele

La lobby israeliana
Il ruolo dei neoconservatori

Chi controlla l’America?

L’influenza filo-sionista e i media
Che cosa ha significato tutto questo?

Israele e le grandi potenze

Il controllo israeliano

Il sionismo cristiano

L’Europa e Israele

Una persistente affinità europea con Israele

Che cosa ha significato tutto questo per gli arabi?

4 Il processo di pace

La dimensione del problema

Il processo di pace arabo-israeliano

Dopo Camp David

C’era qualche cosa a favore dei palestinesi?

Il progetto di Arafat

Resuscitare il processo di Oslo

I colloqui di Camp David

Il salvataggio di Camp David

La Road Map

Conclusione

5 Distruggere i palestinesi

La distruzione di Arafat

Che cosa vuole Israele?

L’accordo di Sharm al-Sheikh

La risposta di Israele

La complicità degli Stati Uniti

Il progetto di Israele

La prospettiva di Sharon

Le conseguenze per i palestinesi

L’elezione di Hamas

Di chi è la colpa?

Ignoranza o cinismo?

6 Come risolvere il problema

Le idee israeliane per una soluzione

L’opzione giordana

Per un Israele sionista nessun’altra strada

La soluzione due-Stati

Rendere impossibile la soluzione due-Stati

Né fattibile né desiderabile

Il diritto al ritorno

7 La soluzione one-state

Condividere la terra

È accettabile la soluzione one-state?

Stato binazionale o stato laico e democratico?

Una sfida formidabile

Desiderabile e fattibile?

Epilogo. La fine del sogno sionista?

Postfazione. Un’utopia concreta di Diana Carminati e Alfredo Tradardi

Dopo il primo congresso sionista del 1897 a Basilea, durante il quale fu posta per la prima volta l’idea di costituire uno Stato in Palestina, i rabbini di Vienna inviarono due loro rappresentanti per verificare se il paese fosse adatto a questa impresa. Le due persone sintetizzarono il risultato delle loro esplorazioni in questo telegramma:

La sposa è bella, ma è sposata a un altro uomo.

Con disappunto avevano trovato che la Palestina, sebbene avesse tutti i requisiti per diventare lo Stato ebraico che i sionisti desideravano, non era, come lo scrittore Israel Zangwill ebbe più tardi ad affermare, «Una terra senza un popolo per un popolo senza terra». Era una terra già abitata, rivendicata da una popolazione nativa arabo-palestinese della quale era già la madrepatria.

Ghada Karmi, palestinese, è medico, scrittrice e docente universitaria. Scrive spesso sulla questione palestinese in giornali e riviste, tra i quali «The Guardian», «The Nation» e il «Journal of Palestine Studies». Insegna all’Istituto di Studi Arabi e Islamici dell’università di Exeter. È autrice di diversi saggi sull’argomento, di cui questo è il primo in traduzione italiana.

Prefazione all’edizione inglese (Pluto Press, 2007)

La ragione principale per cui ho scritto questo libro è quella di spiegare la mia prospettiva per la soluzione del conflitto israelo-palestinese. Un imperativo personale e politico. A livello personale non mi sentirò mai in pace se non vedrò risolto questo terribile conflitto, perché non dovrebbe essere permesso il perdurare di una situazione così tragica e pericolosa. Trovo deprimente l’opinione fatalistica di molti arabi che «a tempo debito» tutto si risolverà e scoraggianti le cosiddette valutazioni politiche «realistiche» che una soluzione duratura, dato lo squilibrio delle forze in campo, richiederà molti decenni, se non centinaia di anni. La ricerca di una soluzione è certamente legata alle mie origini; sono una palestinese che ha sperimentato sulla propria pelle la costituzione di Israele nel 1948 e ne sta ancora pagando, insieme ad altri milioni di persone, tutte le conseguenze. A livello politico mi sembra che il pessimismo prevalente sulla possibilità di trovare una soluzione soddisfacente sia infondato. Questo libro esamina le possibili soluzioni del conflitto e conclude che, da un punto di vista logico, solo una è quella realizzabile.

Sposata a un altro uomo non tratta solo della ipotesi di uno Stato unitario. Gran parte del libro è dedicata a un riesame e a un’analisi della storia e degli eventi che mi hanno portato a sostenere questa tesi. Il libro passa al vaglio molti argomenti di rilievo, ognuno dei quali, per inciso, potrebbe costituire l’oggetto di saggi separati; tratta delle origini del conflitto, delle sue dimensioni arabe, ebraiche e occidentali e delle soluzioni finora immaginate. Questo riesame, esaustivo nei limiti permessi da un saggio, mi ha inevitabilmente portato, date le circostanze, alla sola conclusione possibile. Come Sherlock Holmes disse al Dr. Watson, «Tolto l’impossibile, qualsiasi cosa resti, per quanto improbabile, deve essere la verità».

Sono consapevole che la soluzione di uno Stato unico, anche se rappresenta solo una parte del libro, non sia un argomento del quale scrivere facilmente. Si finisce immediatamente per far parte di una minoranza marginale e si è oggetto di accuse di utopismo, antisemitismo e persino di tradimento. Si tratta di pregiudizi per evitare di pensare idee in contrasto con quelle divenute familiari, convenzionali o che servono interessi costituiti. È una soluzione da affrontare con onestà attraverso un dibattito onesto perché, come spero di dimostrare, è l’unica strada possibile sia per i palestinesi che per gli israeliani.

La difficoltà di scrivere in una situazione dinamica e mutevole come questa significa che alcuni dei fatti e dei riferimenti nel testo saranno rapidamente superati dagli eventi e potranno sembrare obsoleti. Una situazione sgradevole per ogni scrittore, ma inevitabile nel trattare con la storia nel suo farsi. Per questa ragione ho usato i giornali come fonte di molte delle mie referenze. Ho fatto affidamento al più importante quotidiano in lingua araba, «Al-Quds al-Arabi» abbreviato in «Al-Quds», per i suoi esaurienti servizi sulla situazione palestinese e al quotidiano israeliano, «Haaretz», per i suoi servizi molto dettagliati su quella israeliana. Altri riferimenti alla stampa compaiono lungo il libro.

Prefazione all’edizione italiana

Dalla pubblicazione dell’edizione inglese di Sposata a un altro uomo nel 2007, sulla scena locale e internazionale si sono verificati molti cambiamenti attinenti al conflitto israelo-palestinese. Il principale avvenimento internazionale è stato l’elezione di Barack Obama alla presidenza degli Stati Uniti nel novembre del 2008. Giunto al potere sull’onda di un sostegno globale e di un presunto capovolgimento della politica estera dell’amministrazione Bush, da molti ritenuta disastrosa, Obama ha suscitato grandi speranze di un nuovo inizio. Nel giugno del 2009 ha tenuto uno storico discorso al Cairo, rivolto al mondo arabo e islamico, mostrando una inconsueta empatia nei confronti delle loro preoccupazioni.

Anche se molti arabi lo hanno accolto con riserva, ha comunque suscitato l’attesa di un cambiamento radicale, in particolare riguardo alla situazione israelo-palestinese. Ma, nonostante il presidente degli Stati Uniti si sia dichiarato interessato a promuovere dei progressi nel processo di pace tra Israele e i palestinesi, alla fine del 2009 i riscontri effettivi sono stati assai scarsi. Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha invece dimostrato la sua abilità nel tenere a bada la pressione Usa riguardo sia il congelamento degli insediamenti che la ripresa dei colloqui di pace su basi accettabili da parte palestinese. Esemplare è stato nel marzo del 2010 l’annuncio di Israele di voler costruire 1600 nuove unità abitative a Gerusalemme Est, proprio mentre il vice presidente americano Joe Biden si trovava in visita ufficiale nel paese. Questa provocazione ha causato uno scambio di accuse tra il governo israeliano e Biden che ha espresso la contrarietà americana nei confronti dell’accaduto, successivamente ribadita dal Segretario di Stato USA, Hillary Clinton. Ma due giorni dopo queste proteste, gli Stati Uniti hanno fatto marcia indietro e sono tornati ad affermare il loro impegno totale per la sicurezza e il benessere di Israele. Questo avvenimento permette di sottolineare il rapporto speciale che intercorre tra Israele e gli Stati Uniti, rapporto che consente e giustifica l’intransigenza israeliana.

Nel frattempo nei territori palestinesi la situazione sul terreno si è andata deteriorando in modo costante. Il 27 dicembre 2008 l’esercito israeliano ha sferrato un attacco durissimo contro la Striscia di Gaza, durato fino al 18 gennaio 2009. Durante questa terribile aggressione l’IDF ha ucciso oltre 1.400 abitanti della Striscia di Gaza, ne ha feriti oltre 5000, ha distrutto gran parte delle infrastrutture civili e 50.000 persone sono rimaste senza tetto per gli attacchi aerei. Sono stati inoltre distrutti ettari di terreno agricolo, molte strutture civili, moschee, scuole e l’Università islamica di Gaza. Allo stesso tempo non si è interrotto il rigido assedio imposto ai valichi di Gaza a partire dal 2007. Nel 2010, oltre un anno dopo l’aggressione israeliana, la ricostruzione non è possibile, perché Israele non consente l’ingresso a Gaza di materiali per l’edilizia; la disoccupazione ha superato l’80%; la maggioranza della popolazione è in una situazione di completa dipendenza alimentare. Questo ha indotto il segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki-Moon a dichiarare, durante una visita a Gaza nel marzo del 2010, che la situazione umanitaria è «inaccettabile».

Nonostante questa realtà, persiste il consenso internazionale per negoziati di pace tra israeliani e palestinesi a favore di una soluzione due-Stati «che vivano in pace uno accanto all’altro». Eppure la costante colonizzazione israeliana di quanto rimane della Palestina mandataria ha reso la soluzione due-Stati sempre più difficile da immaginare. L’ex presidente americano Jimmy Carter, durante una visita nei territori palestinesi compiuta nel settembre del 2009 con altri uomini di Stato americani, ha rilevato come la maggior parte dei leader palestinesi incontrati si siano dichiarati sostenitori della soluzione di uno Stato unitario (one-state). Il 4 novembre 2009 Saeb Erekat, un veterano tra i negoziatori di pace dell’Anp, ha dichiarato alla BBC che la soluzione due-Stati è diventata irrealizzabile e che i palestinesi dovrebbero prendere in considerazione l’alternativa di uno Stato unitario. Questa opinione è stata ribadita da Sari Nusseibeh, rettore dell’Università Al-Quds di Gerusalemme, noto fautore del dialogo con Israele e sostenitore della soluzione due-Stati. Il 6 gennaio 2010, in una intervista al quotidiano francese «Le Figaro», ha dichiarato che uno Stato palestinese è diventato impossibile. Ha proposto che Israele annetta formalmente i territori occupati, con i palestinesi sottoposti formalmente all’amministrazione israeliana, anche se non come cittadini uguali agli altri.

In effetti, uno sguardo alla mappa della Cisgiordania e di Gerusalemme Est nel 2010 rende più che mai evidente che la creazione di uno Stato palestinese lungo i confini del 1967 sarebbe logisticamente impossibile. L’aumento degli insediamenti con le relative bypass roads riservate agli israeliani e le «zone militari chiuse», strategicamente collocate intorno alle città e ai villaggi palestinesi, hanno cancellato ogni possibilità di uno Stato palestinese contiguo o «sostenibile» [«sostenibile» è la traduzione corrente del termine inglese viable presente nei documenti ufficiali, N.d.T.]. La cantonizzazione della Cisgiordania ha superato il punto in cui era possibile definire l’abbozzo di una «soluzione» di tipo israeliano. Questo significherebbe formalizzare delle enclave palestinesi, circondate da strade e insediamenti israeliani, in bantustan, come nel caso sudafricano. Riconoscendo che un accordo di questo genere non porta a uno Stato «sostenibile», sono partite da parte israeliana, (per esempio da Giora Eiland, «Jerusalem Post» del 9 gennaio 2010), proposte per collegare le enclave palestinesi e la Giordania da una parte, e Gaza e l’Egitto, dall’altra.

È su questo sfondo che il movimento per la soluzione di uno Stato unitario ha ricevuto maggior impulso negli anni successivi alla pubblicazione della versione inglese di questo libro. Una conferenza importante su questo argomento si è tenuta a Boston nel marzo del 2009, la seconda dopo quella di Londra del novembre 2007. La conferenza di Boston è sfociata in una dichiarazione a favore della soluzione one-state e in raccomandazioni per l’azione futura. Gli atti della conferenza sono in fase di preparazione. L’umore di gran parte del pubblico non lasciava dubbio sull’appoggio entusiasta alla soluzione one-state e sulla necessità di attivarsi per renderla realizzabile.

Sulla stampa ufficiale sono apparsi numerosi articoli a favore della soluzione one-state. In gran parte si tratta di una risposta al fallimento della soluzione due-Stati, in molti stanno cominciando a discutere l’opzione del «binazionalismo». Mentre ancora in pochi promuovono l’alternativa di uno Stato laico e democratico. L’avvocato palestinese, Jonathan Kuttab, scrivendo sul «Los Angeles Times» del 20 dicembre 2009, discuteva della necessità di salvaguardare i diritti delle minoranze all’interno del nuovo Stato unitario, compresa la comunità ebrea israeliana, che in un Stato di questo tipo diventerebbe una minoranza. La rivista ebraica liberale «Tikkun», il 24 novembre 2009, ha concluso che «il sole sta calando sulla soluzione due-Stati» e ha elencato gli autorevoli fautori della soluzione one-state, incluso l’ex vice sindaco di Gerusalemme Meron Benvenisti.

Da alcuni anni Benvenisti va scrivendo sulla soluzione binazionale e la sua prospettiva si è evoluta nel corso del tempo. Israele è già uno Stato binazionale, scriveva su «Haaretz» del 30 aprile 2009, in tutto tranne che nel nome. Questa realtà viene tuttavia oscurata costantemente dal discorso due-Stati, a tutto vantaggio di Israele. Fingendo di impegnarsi in un processo di pace, in cui non offriva nulla di tangibile, Israele poteva continuare la colonizzazione della Cisgiordania. E, naturalmente, è proprio quello che è successo. Nel 2010, a Gerusalemme Est, i coloni sono 190.000, in notevole aumento rispetto al 2000. Benvenisti suggerisce quindi che sostenere la soluzione one-state, scartando quella due-Stati, solleverebbe il velo della politica israeliana, mostrandola per quello che è. Servirebbe a mettere fine alla possibilità assai reale che lo status quo – i bantustan palestinesi e il controllo israeliano su tutta la Palestina mandataria – si stabilizzi per tutti gli anni a venire.

La soluzione di uno Stato unico non è più un esercizio intellettuale. Con il prendere corpo della pressione internazionale è destinata a diventare la soluzione consensuale per il futuro e la via d’uscita da un orrendo conflitto che è costato vite, pace e sicurezza. Per me e per tutti i palestinese non c’è mai stata una alternativa vera alla rivendicazione della nostra terra nella sua interezza. Anche quei palestinesi che sostengono la soluzione due-Stati lo fanno nella speranza che sia una fermata sulla via del ritorno. Come potrebbe essere altrimenti? Come ha potuto essere considerato giusto che la comunità internazionale chiedesse ai palestinesi di sacrificare la loro terra, le loro vite e la loro felicità quando una comunità di coloni si insediava al posto loro? È compito dei palestinesi e di tutti coloro che li appoggiano contribuire alla lotta per la rivendicazione e la creazione di uno Stato unico per tutti i suoi cittadini. È questo l’unico modo per rendere giustizia ai diritti dei palestinesi e per salvaguardare i diritti della comunità ebraico-israeliana che vive ora in quella terra. Qualsiasi altra soluzione è tanto impraticabile quanto ingiusta.

Ghada Karmi, Londra, marzo 2010

L’obiettivo del sionismo, questa è la tesi del saggio, di costituire e difendere uno Stato per un altro popolo in una terra già abitata, è un dilemma irresolubile che ha portato a oltre sessanta anni di guerra e alla destabilizzazione dell’intero Medio Oriente. Dopo la morte della soluzione due popoli-due Stati, frutto degli accordi di Oslo, l’unica soluzione da esaminare e approfondire è quella di uno Stato unico, laico e democratico nel territorio della Palestina storica che assicuri a tutti i cittadini, arabi, ebrei e di altre culture e religioni, uguali diritti di cittadinanza.

Su questo si sta concentrando, negli ultimi anni, il dibattito tra coloro che hanno a cuore la soluzione di questo interminabile e atroce conflitto.

Ghada Karmi riesce a coniugare il rigore della storica con una singolare chiarezza espositiva, senza alcuna concessione al già detto. Alcuni capitoli e molte delle sue considerazioni e dei suoi interrogativi presentano punti di vista originali assai persuasivi, caratteristiche che si legano anche all’aver lei vissuto in prima persona, come profuga della nakba, le conseguenze del dilemma israeliano in Palestina.

Traduzione dall’inglese, a cura di ISM-Italia, di Gabriella Bernieri, Marilla Boffito, Elisa Campaci, Elena Campari, Diana Carminati, Ada Cinato, Alida Di Marzio, Flavia Donati, Carmela Ieroianni, Alfredo Tradardi e Gigi Viglino.

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